Questo è il resoconto di
due incontri-lezione,
tenuti dalla prof. Marina
Maruzzi, insegnante al liceo
Tommaseo di Venezia,
il 24 febbraio
e il 3 marzo 2015.

 

 

 

 

Platone e Aristotele

 

di Luciano Niero

 

Filosofia come consolazione
e sfida


1° incontro.

L’insegnante inizia soffermandosi sulla frase “prendila con filosofia”, che spesso si sente dire e normalmente viene declinata come un antidoto alla depressione; questa frase però è da Lei non amata in quanto denota una certa “rassegnazione” e la filosofia non deve essere questo, non è rassegnarsi!
Cita poi Pascal, genio logico matematico, (a soli 11 anni aveva messo a punto una macchina di calcolo detta “Pascalina”), il quale affermava che la nostra vita non si esaurisce nella “logica” o nelle sole attività razionali, ma consiste anche nel “sentire”, nel sentimento, perché la filosofia non è solo “comprendere tutto”.
L’insegnante tratta quindi della “filosofia antica” e ci parla di Platone, allievo di Socrate, il quale nella sua Lettera VII, autobiografica, narra le vicende politiche e le vendette conseguenti alla caduta dei 30 Tiranni e l’avvento del governo democratico dei 400, avvenimenti per i quali Socrate “l’uomo più giusto che io conosco” come scriveva Platone, viene poi accusato di corruzione e condannato a morte.
Platone, amareggiato da ciò, si ritira allora dalla vita politica convinto che “bisogna ricercare il bene della Polis” e questo bene può essere realizzabile solo quando “i filosofi sarebbero diventati re o i re sarebbero diventati filosofi”.
Platone afferma inoltre che per conoscere la “realtà” bisogna “comprendere” per poter incidere su di essa ed influire sulla politica; egli è il filosofo delle “idee” e le idee devono agire per cambiare la realtà. Infatti nel “mito della caverna” l’uomo che esce e vede il sole “la realtà”, rientra e vuole spiegare, rivelare ai compagni quello che ha visto ma viene da loro osteggiato e ucciso.
Per Platone questo è il ruolo del filosofo, comprendere e comunicare rischiando se stesso, ed è Socrate l’esempio del filosofo che, con la propria coerenza, incarna la filosofia vissuta accettando la morte, non condannando le “leggi” ma gli uomini che le interpretano.
Anche per Aristotele la filosofia ha il significato di “comprendere” la realtà, etimologicamente com-prendere “prendere insieme”, non guardare ad un solo aspetto della realtà ma comprendere la connessione tra i fatti interagendo fra i loro vari aspetti, avere cioè uno sguardo d’insieme.
La filosofia è mutamento, attuazione di un progetto della realtà, ed egli fornisce anche gli strumenti per comprendere e razionalizzare la realtà quali i principi di causa-effetto, sostanza e del giusto mezzo.
Ed ancora la filosofia deve essere perseguita per il piacere della conoscenza in sé; prima di Aristotele, ad es. con Pitagora, la conoscenza aveva anche connotati magici ed esoterici.
La “filosofia antica” ha inoltre lo scopo “etico” della cura di sé, di rasserenare, essa va incontro all’uomo per ridurre la sua angoscia attraverso la “conoscenza di se stessi” .
Filosofia quindi come “consolazione”, concetto ripreso ancora nel 5° sec. da Severino Boezio che scrive “La consolazione della filosofia” e sino al 900 con il contemporaneo Pierre Hadot il quale afferma che la filosofia è “fine a se stessa”, che il nucleo della filosofia si identifica con la vita dell’uomo, con la sua azione.
L’insegnante conclude quindi che la filosofia non deve essere un lusso per pochi e deve condurci al “sé”, essa deve essere una medicina per la nostra vita, il “pharmacon” come diceva Epicuro.

2° incontro.

L’insegnante riprende ancora la frase “prendila con filosofia” per dire che essa può anche significare sfidare la realtà attraverso la comprensione della stessa.
Parla quindi di due figure filosofiche atipiche ed emblematiche Giordano Bruno e Baruch Spinoza. Questi due filosofi, accomunati nella sfida, con la loro vita hanno mutato i paradigmi della conoscenza, riscrivendo il rapporto tra l’uomo e la conoscenza stessa ed interpretando così il ruolo del filosofo che ne cambia i parametri.
Giordano Bruno da Nola (1548 – 1600) monaco domenicano grande conoscitore della filosofia scolastica e dell’ermetismo, molto interessato alle teorie copernicane che lo stimolarono ad entrare nei segreti della natura, fu inoltre studioso della mnemotecnica, un suo metodo di memorizzazione.
Verrà qualificato come “errante” poiché si sposterà continuamente tra le corti europee, da Napoli a Roma, poi in Svizzera, Francia, Inghilterra, Praga e Germania; tali viaggi erano dovuti al suo carattere irrequieto e alla insofferenza verso gli accademici europei con i quali si incontrava. Ritornerà poi a Venezia ospite del nobile Mocenigo il quale era interessato al metodo mnemotecnico.
Il nobile veneziano, insoddisfatto, lo denuncerà poi come eretico e avrà così inizio, con l’estradizione a Roma, il processo contro il Bruno per le sue idee eretiche che mettevano in discussione la centralità dell’uomo nell’universo, entrando così in conflitto con i principi della religione.
Nel processo sarà condannato a morte e arso vivo in Campo dei Fiori.
Scrive molte opere sia in latino che in volgare, tra le quali spicca per l’amore della conoscenza De gli eroici furori, “eroici” da eros desiderio slancio verso il conoscere, ovvero l’essere filo-sofo, amante della conoscenza, e “furore” inteso come impeto razionale per trascendere i limiti del conoscere, e in questo vi è lo slancio che non si placa mai perché l’oggetto della conoscenza, l’universo, è infinito.
Baruch Spinoza (1632 – 1677) nasce ad Amsterdam dove frequenta la scuola ebraica, conosce quindi sia il portoghese che l’ebraico, era figlio di ebrei emigrati dal Portogallo i quali furono forzati dalla regina a convertirsi al cattolicesimo ma mantennero privatamente la loro fede, perciò non furono ben visti né dai cristiani né dagli ebrei ortodossi e furono chiamati “marrani”.
A causa dei suoi scritti viene scomunicato nel 1656 come eretico, per le sue critiche ai tre pilastri dell’ebraismo quali “l’attribuzione di popolo eletto, la critica alla lettura letterale dell’Antico testamento, testo sacro ma scritto da uomini e perciò discutibile, ed infine per le sue critiche sull’osservanza, in maniera rigida ed ottusa, della Legge ebraica”.
La scomunica “cherem”, gravissima lo bandisce e lo espelle da tutte le tribù di Israele, viene maledetto ed intimato che nessuno abbia con lui alcun rapporto.
In conseguenza di ciò deve abbandonare la sua impresa di produzione di fiori che aveva con il fratello e si ritira in un paesino dove farà il molatore di lenti.
Nel 1670 scrive e pubblica, in maniera anonima, il Trattato teologico politico e rifiuta la cattedra di Heidelberg temendo per la possibile limitazione della sua “libertà di pensiero”.
Nel “Trattato” afferma, con la frase “Deus sive Natura”, che “la divinità è nelle cose” ovvero la razionalità è dentro la realtà, il che vuol dire che la realtà, se sei filosofo la puoi capire e possiamo quindi averne una visione totale. Allora non c’è più il mistero, è l’ignoranza che genera il timore, la superstizione e il fanatismo religioso.
Per Spinoza il destino dell’uomo ha come fine la “libertà di pensiero” e pone questo punto anche come compito dello Stato, infatti nell’ultimo capitolo intitolato In una libera comunità politica ciascuno deve avere libertà di pensiero, egli fa della ragione l’essenza dell’uomo e afferma che lo Stato perfetto è quello che permette la felicità del singolo tramite la piena realizzazione di sé ovvero la facoltà di pensare.


Bibliografia consigliata:

Luciano Canfora - Un mestiere pericoloso ed. Sellerio.
Pierre Hadot - Esercizi spirituali e filosofia antica ed. Einaudi.
Ermanno Bencivenga - La filosofia in cinquantadue favole ed. Mondadori.